DSA in età adulta? La parola ai protagonisti

Che cosa significa realmente DSA in età adulta? La parola ai protagonisti.

DSA è l’acronimo di Disturbi Specifici di Apprendimento; in essi sono comprese la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia. Questi disturbi possono presentarsi isolati, ma più spesso coesistono. Vengono definiti specifici perché interessano uno specifico dominio di abilità in modo significativo ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale.
La dislessia è un disturbo nella lettura dovuto a difficoltà di decodifica del testo, consistente nel mancato riconoscimento della corrispondenza fra lettera e suono. La confusione nella decodifica di lettere influisce negativamente sulla capacità di leggere in modo corretto e fluente. Con disgrafia si definisce la realizzazione grafica poco chiara della scrittura, spesso illeggibile, e la difficoltà a padroneggiare gli strumenti del disegno. La disortografia è il disturbo nella scrittura, derivante dal mancato riconoscimento della corrispondenza fra suono e lettera, che, quindi, causa errori ortografici. La discalculia, infine, è il disturbo nelle abilità di numero e di calcolo. Riguarda la padronanza di abilità fondamentali quali addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni; lettura e scrittura di numeri; confronto di quantità; abilità di conteggio.
Da ciò si comprende che, se l’automatismo dell’abilità strumentale non è presente, lo studente è costretto a utilizzare costantemente enormi quantità di energia, con il risultato di stancarsi rapidamente e di rimanere molto spesso indietro nell’apprendimento.
I DSA sono un disturbo di origine neurobiologica con importante familiarità. Hanno andamento cronico, ma evolutivo: la loro espressività si modifica in relazione all’età e alle richieste scolastiche prima ed accademiche poi. I fattori ambientali si intrecciano con quelli neurobiologici, determinando un maggiore o minore adattamento.
Ciascun profilo è unico, non tutte le persone con DSA presentano, infatti, le stesse difficoltà e gli stessi punti di forza e il risultato finale dipenderà da molteplici fattori: dal tipo di disturbo, dalla gravità, dal grado di compensazione, dal profilo intellettivo, da eventuali comorbidità, ma anche da tutti quei fattori personali e ambientali.

Di seguito si riporta la testimonianza di una studenti con DSA in UNIMORE.

Nel mio percorso universitario ci sono stati momenti particolarmente duri. Il ripetere un esame numerose volte di certo non aiuta. Non aiuta trovare persone poco sensibili in merito alla tematica dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, ma altrettanto aiuta avere una famiglia attenta che comprende il momento di sconforto che stai vivendo a fronte delle fatiche vissute e nonostante l’impegno profuso. Con i miei tempi e secondo la situazione che ho vissuto ho, però, superato l’ostacolo.

A livello comportamentale le persone adulte con DSA mostrano difficoltà nell’orga-nizzazione personale e professionale e nelle modalità di apprendimento (inclusa la gestione del tempo); nei processi di decodifica verbale, di comprensione di un testo scritto, nella compitazione e si mostrano lenti in scrittura; hanno difficoltà nel campo della matematica per quanto riguarda aspetti procedurali come il riconoscimento del sim¬bolo matematico e l’applicazione delle procedure di calcolo a mente; possono presentare difficoltà di espressione verbale, ad esempio nella scelta dei vocaboli e dell’ordine degli stessi, che possono rendere talvolta inefficace l’eloquio; infine le persone adulte con DSA riferiscono difficoltà di memoria e in particolare di memoria a breve termine. 
La maggior parte degli esperti concorda sul fatto che il Disturbo Specifico dell’Apprendimento sia una condizione cronica che può migliorare e cambiare spontaneamente. Tale mutevolezza viene a manifestarsi maggiormente in età adolescenziale e adulta. La naturale compensazione di alcune originarie difficoltà, oltre che la mancanza di marcatori biologici, rende il disturbo stesso una “sfida invisibile”, poiché non evidente ad occhio nudo all’osservatore. 

Negli studi di giurisprudenza sono necessari estremo rigore e molto ordine mentale.
Ho smesso di frequentare, perché il confronto con i pari era frustrante e seguire le lezioni non utile, se non alcuni corsi selezionati. Ho sperimentato delle strategie che applico ancora oggi, ovvero dedicare un’intera giornata a leggere l’indice, a ragionarci sopra e a capire come è costruito per creare un filo logico. Questa tecnica l’ho individuata e sperimentata in completa autonomia, nessuno mi ha dato indicazioni. Ammetto che quando mi preparavo agli esami di giurisprudenza a volte non riuscivo a finire di leggere i manuali, ho dovuto pertanto sviluppare ragionamento e riflessione sulla consequenzialità che sono gli elementi che mi hanno portata anche al proseguo della carriera.

Sicuramente ho affrontato momenti difficili, mi riferisco al Corso di Laurea in Giurisprudenza, perché a quello di Scienze e Tecniche Psicologiche ci sono arrivata da adulta, con una laurea e una professione in fase di avviamento, ed è innegabile che lo vivo diversamente. Ma è anche vero che i docenti di Psicologia hanno un altro approccio per me fondamentale: forniscono un vademecum iniziale (una sorta di indice), utilizzano powerpoint e segnalano le parole chiave, in questo modo si riesce a recuperare tutto. Questo a Giurisprudenza ricordo essere stato fatto solo da un paio di docenti.
Si può dire, quindi, che le mie parole d’ordine sono: “ho bisogno di ordine”, ma deve essere fatto da altri. Se la lezione non è così strutturata io non ci capisco nulla.
Nella prima esperienza accademica mi sono sentita sola, non ho mai conosciuto studenti con Dislessia seppure io per prima non conoscessi le mie caratteristiche di apprendimento perché la diagnosi è arrivata tardivamente, ora siamo in tanti. Questo però nel confronto con gli altri costituiva per me, nel primo contesto, uno svantaggio quando facevo fatica a memorizzare e agli esami sentivo le persone, in corridoio in attesa di essere interrogati, parlare di argomenti che a me sembrava di non aver mai letto.
Ho iniziato così ad utilizzare un’ulteriore strategia: la mnemotecnica di inventare delle storie per ricordare.


Per quanto riguarda le caratteristiche psicoaffettive di una persona adulta con DSA, poi numerosi studi hanno evidenziato, nel tempo, mancanza di fiducia nelle proprie poten-zialità, bassa autostima, vissuti di rabbia e frustrazione soprattutto rispetto alle esperienze scolastiche passate, sintomi ansiosi reattivi in particolare a compiti di apprendimento e a situazioni di verifica e, talvolta, una ricaduta negativa nelle interazioni sociali dovuta perlopiù a un’immagine negativa di sé.

Presso l’università non ho mai incontrato difficoltà con i docenti, grazie al database di Ateneo è stato semplice dialogare con loro in merito alle misure compensative. Al contrario al liceo ho riscontrato numerose mancanze, soprattutto sull’essere conosciuti e sulla comprensione che di fronte alla stessa “etichetta” ci sono persone completamente diverse come abilità e fatiche. Altro elemento importante del percorso universitario è la possibilità di fare approfondimenti personali e sentire riconosciuta questa ricerca in sede di esame e non trovare, come invece mi è successo alle superiori, docenti che giudicano il tuo elaborato soltanto perché non usi le parole che hanno detto loro a lezione. All’università si può usare il ragionamento. 
Rispetto alle mie caratteristiche il mio corso di laurea costituisce un ideale perché ci sono prettamente esami orali ed io riesco meglio… ho qualche fatica nella scelta delle parole perché leggo poco, ma riesco comunque meglio rispetto allo scritto. Inoltre trovo che il percorso universitario ti permetta di risollevarti meglio rispetto a quello scolastico perché di fronte ad una bocciatura un esame può essere ridato, prima invece un’insufficienza costituiva uno scoglio per il quadrimestre.
Desidero dare un consiglio per me fondamentale: è importante fidarsi meno di se stessi e più delle altre persone. Mi spiego meglio: uno studente dislessico non può fare l’università da solo, esistono sportelli di aiuto come “Tutoriamo”, compagni di studi, … è importante il sostegno per non svalutarsi altrimenti si rischia di mollare. Stando con gli altri ti rendi conto che tutti faticano, ti avvicina perché capisci che si è tutti “sulla stessa barca”, viene “smussata la condizione”. Anche il Disturbo Specifico dell’Apprendimento ha delle positività: l’investimento che è stato fatto prima può essere riutilizzato. Nonostante tutti ne parlino e per me il fattore tempo sia sempre di difficile gestione credo che l’aspetto della fiducia sia quello che pesa di più per la paura del pregiudizio e per il rischio di incorrere in pensieri negativi che vanno a influire sul risultato d’esame.

Quando è arrivata la diagnosi si è decisamente modificata la mia consapevolezza, perché finalmente avevo capito che il mio problema era un “non problema”. Avevo/ho compreso che l’esitazione o la fatica di fronte a richieste come: “prendi il fascicolo numero o scrivi una e-mail …” e ad un eventuale mio errore non era frutto di mia svogliatezza o altro, semplicemente era/è una mia caratteristica. Ora so che devo concentrarmi di più e nel dubbio ho il diritto di chiedere. Infatti adesso, se credo di non essere sicura, chiedo. Ho imparato a chiedere, mentre prima insabbiavo.
Le strategie e il metodo di studio sono in linea con il passato e con le continue evoluzioni che sto compiendo. 

In conclusione, i DSA in età adulta assumono una espressività diversa da quella riconosciuta in età evolutiva con ricadute, comunque, presenti nello studio e sull’acquisizione delle informazioni. Queste ricadute non dipendono solo dalla fatica nell’abilità strumentale, ma anche dal vissuto emotivo e fondamentale è il rispettoso supporto che il contesto anche universitario fornisce ai suoi studenti. 

Il tirocinio mi ha fatto capire che quello che studio sui libri non è la vera medicina. 
E’ molto più facile la pratica rispetto alla teoria, nonostante la velocità richiesta.
Vorrei godermi maggiormente il tirocinio perché, purtroppo, sono troppo concentrato sulla didattica, visto che è quella la parte più ostica.

Questo articolo, scritto dagli operatori del Servizio Accoglienza Studenti con DSA, è frutto di studi di differenti teorie, ma soprattutto dei report di studenti con DSA che frequentano l’Ateneo di Unimore e le cui vite si sono intrecciate con quelle del nostro ufficio e hanno, come molti loro colleghi, mostrato le loro spiccate e peculiari abilità. Li ringraziamo, pertanto, per il loro desiderio di condivisione, del tempo a noi e a voi lettori dedicato e di aver portato la loro “voce” e il loro punto di vista.